lunedì 30 novembre 2009

Come indossare un sari (2): stile Nivi, versione ortodossa

Eccoci con la versione ortodossa dello stile Nivi, dopo il precedente post con la versione più facile e popolare.
Consiglio di aver letto prima quel post, o di conoscere già lo stile Nivi.

Infilate il sari partendo dall'anca destra e facendo un giro completo verso sinistra, fino a tornare all'anca destra, esattamente come nello stile nivi "facile".

Adesso fate fare al sari un secondo giro, senza infilarlo in vita, fino a tornare davanti.
Prendete il pallu (parte terminale del sari) ed ignorate tutta la parte intermedia del sari.
Sistemate il pallu sopra la spalla sinistra, in modo da avere il bordo finale del sari dove volete che cada alla fine (solitamente all'altezza del ginocchio). Puntate il sari alla spalla con la spilla da balia.

Adesso che avete sistemato la parte finale, andate "a gambero".
Sistemate il sari sul petto, sotto l'ascella destra, dietro la schiena in diagonale, avanti fino alla vita ed all'ombelico, arrivando ovviamente da sinistra. Infilate un pezzettino del sari sotto l'ombelico, in modo che stia tanto attillato su petto/schiena quanto volete che lo sia alla fine.

Vi ritroverete con circa un metro di stoffa libera davanti alla pancia, stoffa che trasformerete in belle pieghe. Fate le pieghe esattamente come nello stile nivi presentato nel precedente post (fase 3).  
L'idea di questa maniera di drappeggiare il nivi è che procedendo così, facendo le pieghe per ultime, vi "avanzerà" per le pieghe la quantità di stoffa giusta. Ricordate che la versione "semplice" dice di fare 4-7 pieghe, ed alla fine consiglio di fare un paio di tentativi preliminari per vedere quante pieghe servono per far cadere l'orlo del pallu all'altezza giusta dietro le gambe? Ecco, con questo metodo non servono i tentativi.
Infilate le pieghe nella sottogonna sotto l'ombelico esattamente come nel precedente post, e date un'ultima sistemata al tutto.

C'è un video su youtube qui che vi esemplifica tutto questo. L'audio è di pessima qualità (oltre che essere un inglese con un forte accento indiano), ma una volta lette queste istruzioni sarete in grado di capire bene cosa stanno facendo.
La signora è una costumista per sfilate e quindi fa le cose in grande (fa anche le pieghe al pallu e fa le pieghe all'ombelico in una complicata versione "fashion"), ma potete usare tranquillamente le più semplici istruzioni di cui sopra.

Come indossare un sari (1): stile base o Nivi

Questo è il primo post di una serie di istruzioni illustrate per mettersi il sari o saree, il capo più bello del mondo! 5 metri di stoffa, neanche una cucitura.
Per consultare l'intera serie, ci sono le istruzioni nella colonna di destra.

Lo stile più comune di indossare il sari è chiamato Nivi.

Originario dell'Andhra Pradesh, questo modo di portare il sari è diventato ampiamente prevalente in tutta l'India, a scapito delle tradizioni locali. Noterete che quasi tutti i sari nelle immagini dei post precedenti sono drappeggiati così. Beh, in effetti è uno stile che dona molto.

Ci sono due maniere di abbigliarsi di un sari con lo stile Nivi.
Iniziamo dalla più facile anche se meno ortodossa.
Trovare immagini chiare non è facile; eventualmente guardate anche quelle del secondo post di istruzioni, che è un altro modo di mettersi il Nivi.

1. Indossa le scarpe che metterai per uscire, un top corto e aderente che richiami i colori del sari (o, se ce l'hai, indossa il choli, apposito top su misura coordinato al sari), ed una gonna/ sottogonna non scivolosa (deve tenere su il sari!), di colore neutro o simile al sari, con vita non a elastico, ma a cordoncino o con normale cerniera.


2. Guarda il sari: avrà una parte terminale più decorata (si chiama pallu, pallav o anchal) ed una meno. Prendi il sari dal capo meno decorato, lasciando la lunghezza del sari alla tua sinistra, ed alzalo davanti alla pancia. Inizia ad infilare la parte superiore del sari nella sottogonna (di solito si infilano un 15 cm di stoffa) in modo che l’orlo inferiore arrivi a circa 2 cm dal pavimento con le scarpe che stai usando.
Continuando a infilare il bordo superiore nella sottogonna, fai un giro completo attorno alla vita e ritorna all’anca destra da cui sei partita.


3. Forma 4-7 pieghe una sopra l’altra. Le pieghe, profonde 10-15 cm, devono essere uniformi e dritte. La mano dx tiene ferme le pieghe fatte e la mano sn prende la stoffa dal lato sn/libero del sari. Le pieghe "guardano" a sinistra, come in figura.

Ho letto in qualche blog di moda però che fare le pieghe "a rovescio", cioè orientate a destra, risulti in un effetto più sexy o snellente. 



4. Prendi il “pacchetto” di pieghe ed infila la parte superiore nella sottogonna come fatto col resto del sari fino ad ora, facendo attenzione che le pieghe rimangano uniformi e che il bordo inferiore sia sempre alla stessa distanza dal pavimento. Le pieghe devono cadere sotto l’ombelico o leggermente a sn.
È consigliato fissare le pieghe all’interno della vita della sottogonna con una spilla da balia, perché le pieghe non si disfino muovendosi.
Alcune donne scelgono di cucirsi le pieghe per non doverle rifare ogni volta, ma questo poi ti lega riguardo alla possibilità di indossare il sari con stili diversi – o di prendere/ perdere peso.


5. Dopo le pieghe, che sono la parte che richiede più pratica e cura, prosegui il “giro” verso sinistra fino a tornare davanti. In questo secondo giro attorno alla vita non serve più infilare il bordo superiore del sari nella gonna. 




6. Porta il pallu (parte terminale solitamente decorata) sopra e dietro la spalla sinistra. Il bordo finale deve arrivare tra ginocchio e polpaccio, anche se per le grandi occasioni si può far arrivare la punta al pavimento. È consigliabile puntare il sari alla spalla del top con una spilla da balia. (Dall'interno del top e facendo una cosa quasi invisibile!!)


È bene fare un paio di prove prima, per vedere quante pieghe all’ombelico ti servono per avere la lunghezza giusta dietro la spalla.

7. Ammirati allo specchio e sentiti una dea!




Nei prossimi post indicherò trucchetti e consigli "per far stare meglio" il sari con lo stile nivi, oltre a varianti dello stesso stile, ed alla versione più ortodossa di drappeggiare il nivi.


domenica 29 novembre 2009

Sari come uniforme

Ecco una foto molto interessante, comparsa su sareedreams.com (originale da Flickr qui).

La signora in questione è un ufficiale dell'esercito nella regione dell'Assam (estremo Nord dell'India).
Il sari come uniforme compare non solo nell'esercito ma anche in diverse scuole.
Qui ci viene ricordato che il sari non è un abito vezzoso per il sesso debole, ma che anzi può conferire un aspetto statuario, "da dea greca" e quindi autorevole di autorità matriarcale, a chi lo porta.
Non amo l'esercito ma adoro questa foto!
Notate il dettaglio del passante sulla spalla, abituale in molte uniformi, che qui è ultra-comodamente usato per tenere su il pallu!

giovedì 26 novembre 2009

Ancora sull'astronave dell'arcangelo ed oltre: dove cercare la crescita spirituale

Riprendo dallo scorso post sulla sociologia dell'astronave dell'arcangelo.
Alla fine non ho commentato la storia dell'astronave in se per sè, il che non andava bene. Alle superiori mi hanno insegnato a rimanere aderente all'argomento ed ho violato questa regola d'oro.
Non conoscendo bene chi ha messo in giro la storia, nè i dettagli, dovrei stare zitta. Ma... c'è un ma.
Avete presente quegli esperti di leggende metropolitane, che sentendo una storia sanno dire subito con una certa precisione se si tratti di una bufala o meno? Questo perchè ci sono alcuni elementi tipici delle leggende metropolitane che saltano agli occhi.
Ecco, io mi baso anche su una cosa del genere per dire che per me l'arcangelo versione Star Trek non c'è. O se proprio in qualche modo c'è, non dovremmo pensarci tanto.

Gli arcangeli non volano sulle astronavi. Possono apparire con fattezze umane - ovviamente belle, la kalokagathia (bello=buono) è un archetipo ben radicato nel nostro inconscio collettivo ed anche a ragione - perchè il nostro cervello non ha i mezzi per rappresentare il loro vero volto, ma non volano sulle astronavi. Non ne hanno bisogno. Rimando alla letteratura teosofica per farsi un'idea di chi e cosa siano gli arcangeli e cosa facciano nella vita.

La storia delle astronavi trova radici in quelle teorie che sostengono che la nostra origine, o l'origine dei nostri dei, sia extraterrestre. Io personalmente non la condivido, non in senso così letterale. Che ci siano altre galassie ed altri universi con forme di vita intelligente è un fatto esotericamente assodato, ma non è questo il punto.

E questo pianeta o astronave starebbe risucchiando l'energia negativa per l'imminente età dell'oro? Il perchè questo sia implausibile richiederebbe qualche pagina, comunque no, magari. Nei prossimi secoli andremo "in meglio" perchè il Kali Yuga è finito (per dettagli sulle ere cosmiche, si veda la Scienza Sacra di Sri Yukteswar ed anche l'Esistenza di Dio è Autoevidente, nuova edizione, di Master Choa Kok Sui), ma il processo è lungo.
Inoltre, le persone salvano se stesse, non c'è nessuno che le salvi senza che loro ci mettano il proprio impegno, apertura e sforzo. E la luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno accolta (Giovanni, 1, 5). Nessun Dio impedirebbe alle persone di fare il proprio percorso con una "promozione immediata" - e neanche con una distruzione immediata, per i catastrofisti - non avrebbe senso e non servirebbe a nessuno.  Ci ha mandato qui per evolvere, ed è così che funziona.

Ancora contro una certa New Age, e dove invece rivolgersi:

Crescere spiritualmente lo si fa guardando DENTRO e non FUORI. Più fuori dello spazio interstellare non ce n'è.
Nei percorsi spirituali seri si dà un'importanza minima allo studio delle potenze celesti e di tutta una serie di dettagli tecnici che non ci riguardano direttamente, che non ci servono per diventare persone migliori. Si capisce bene questo punto dopo qualche anno passato negli ambienti "spirituali". Chi va dietro a "scuole" in cui si presta molta attenzione alla "conoscenza tecnica dell'universo" e magari a strumenti per utilizzare queste leggi, spesso va incontro ad alcune inutili zavorre sul percorso spirituale. Si inorgoglisce e si inaridisce nella sua conoscenza. Invece, un vero percorso spirituale si basa sul miglioramento di sè, sullo sviluppare amore per il prossimo e per Dio, sullo sviluppare quella "self-less-ness in order to find oneself in a greater Self" (l'altruismo che serve a trovare se stessi in un Sè più grande), sul distacco dagli obiettivi terreni - compresi gli aspetti di orgoglio e di potere insiti in un certo tipo di coltivazione della conoscenza.

Se non parliamo di esoteristi veri e propri ma di persone comuni, il pericolo è un altro, analogo. Che le persone si fermino al dito invece che guardare la luna. Il popolo cerca "effetti speciali", cerca "emozione", cerca qualcosa a cui attaccarsi, come ben sapeva Gesù, che guariva per compassione ma cercava che la cosa non si sapesse in giro. Anche i grandi Santi e Maestri hanno poteri inusuali, ma sono molto riluttanti al loro utilizzo, affinchè la gente non si attacchi al miracolo, non si attacchi a loro come persone (=culti), e non si attacchi alle cose che possono accadere in questo mondo materiale. Poichè tutto questo avverrebbe a scapito del cercare dentro, del lavorare su di sè, del lavorare tout-court invece di appoggiarsi, dello sviluppare quelle virtù di cui sopra, del coltivare l'amore per Dio e per il prossimo - insomma, di evolvere invece di stare fermi.
(Rimando alla lettura dell'Autobiografia di Yogananda, e dell'ottima pagina di Prabhupada qui, per una discussione più ampia e di argomenti collegati)

Già le persone non sanno gestire se stesse, le loro relazioni, la propria salute, stiamo mandando questo pianeta in malora, a cosa serve sapere i dettagli tecnici delle gerarchie di arcangeli, cherubini e serafini, e cosa succede di là dall'atmosfera? Non c'è nessuna catastrofe imminente, nè nessuna imminente età dell'oro. Basta con questo 2012. Vi ricordate "mille e non più mille"?
Pensiamo a sviluppare relazioni civili, a capire e gestire noi stessi, a mantenerci sani, a rispettare la Terra... sennò, storie di arcangeli e canalizzazioni varie diventano oppiacei per distrarci da quello che serve veramente.

mercoledì 25 novembre 2009

Sonia Gandhi, la mia icona di stile

Non entro nemmeno lontanamente in politica, ricordando appena che la Gandhi è una emintente personalità delle istituzioni politiche indiane.
Sono qui soltanto a dire che sono pienamente d'accordo con chi ha dato a Sonia Gandhi nel 2008 il titolo di donna meglio vestita dell'India.
Semplici sari di cotone, sempre sotto tono ma sempre molto ben scelti e ben portati.
Non resisto però alla tentazione di ricordare che è una vicentina doc, nata e cresciuta in Veneto, e che ha "solo" sposato un nipote del mahatma Gandhi. Con lo stile, buon sangue italiano non mente!




   (Com'era bella da giovane!)

Di Psicologia e Spiritualità su questo blog...

Hm, sono passati diversi giorni ed ancora non si è visto un post di spiritualità o di psicologia su questo blog.
Essendo i due argomenti la mia vita ed il mio lavoro, mi sono chiesta come mai non scrivo a riguardo.
Per la psicologia, forse sono ancora "nauseata" dalla recente laurea. Avete presente quando cucinate tutto il giorno per una cena e poi quasi non mangiate? Mi dò ancora tempo.
Per la spiritualità - forse basterebbe che inziassi ad importare quello che avevo messo su Facebook. Sono solo alcune segnalazioni. Fare veri e propri "pezzi" in argomento spirituale è cosa spinosa. E' lavoro per i Maestri (quelli veri), e i loro insegnamenti già sono disponibili.
Pare che in fondo ognuno trovi quello che gli serve quando gli serve, che ci sia già troppa gente che scrive e parla, e che molto di questo scritto e detto sia di dubbia validità.
Non sono animale da foro (nè topo nè oratrice quindi!), e non credo nel pubblicare propri scritti tanto per fare. C'è bisogno di riordinare la scrivania del mondo e lasciare l'essenziale.

La sociologia dell'astronave dell'arcangelo. Note sulla New Age

Un caro amico mi ha raccontato nel weekend di questa "novità" in ambito spirituale in cui molti sembrano credere, e mi chiedeva cosa ne penso.
La cosa era talmente ridicola che mi ricordo solo gli elementi coinvolti ma non i dettagli. Se qualcuno vuole dare i dettagli nei commenti, prego!
Allora, c'è questo arcangelo, un bel pezzo di figo alto 2 metri, che sta guidando un'astronave che sta facendo qualcosa in relazione ad un certo pianeta che si sta avvicinando al sistema solare, e qualcosa in tutto questo dovrebbe aver iniziato a risucchiare l'energia negativa dal nostro pianeta in vista del 2012 in cui dovrebbe tornare l'età dell'oro.
A parte farci una bella risata e chiederci quanti panini di segale cornuta si sono fatti guardando capitan Harlock quelli che hanno avuto la "visione" e l'hanno messa in giro, serve proseguire con un commento più serio?

New Age, brrrrr! Parlo di quella schiuma che è venuta ribollendo e si è diffusa negli ultimi decenni. Superficialità di superficialità, gente che dice di parlare con gli arcangeli e tizio e caio, maestri auto-nominati che si tirano dietro ingari greggi, un uso arbitrario (e assolutamente insufficiente) di quello che già sappiamo da tutta la letteratura di antica reputazione...
La gente, con il venir meno della Chiesa e delle istituzioni sociali e politiche come sistemi di senso che diano una struttura comprensibile e prevedibile (e quindi rassicurante) del presente e del futuro, cerca altro.
Dove c'è domanda, c'è immediatamente offerta, soprattutto dove c'è da guadagnare con questa offerta (soddisfazioni dell'ego come fama, potere o altro, piuttosto che denaro). La New Age si è largamente costruita su queste pessime basi, complice il fatto che, dal punto di vista "cosmico", è vero che stiamo andando verso un'era in cui lo spirito e l'energia saranno dominio comune. Ma ci dovremmo andare in maniera del tutto diversa.
Questo è anche il tempo dell'informazione "omogeneizzata", cinque minuti in TV, quasi nessuno legge, quasi nessuno è disposto a farsi una cultura (col mazzo che ci siamo fatti negli ultimi secoli ad alfabetizzare le masse, sgrunt), ad approfondire, a verificare le fonti, e soprattutto, ad impegnarsi ed a lavorare seriamente. Quindi ecco che masse di ignari vanno dietro a qualsiasi cosa gli venga detta praticamente da chiunque, senza avere nessuna base per discernere. Un cieco che si affidi ad un altro cieco cadrà nel fosso, dice il Vangelo.
Molti "sensitivi" e "canalizzatori" e "guru" sono in buona fede, ma questo non li esime dal mancare di quella formazione - seria e lunga formazione - che si dovrebbe avere prima che uno si metta ad "ammaestrare le folle". Non è questione del'essere dei fanatici della tradizione e della cultura, ma questione di sapere di cosa si sta parlando, come muoversi, come "leggere" quello che si "vede", come non cadere nelle varie trappole di cui è disseminato il mondo spirituale. E' come se uno non fosse mai andato a scuola, leggesse qualche articolo di fisica, o magari i libri di qualcun altro come lui, avesse qualche intuizione mentre prende il tè, ed iniziasse a scrivere volumi e tenere corsi sulla fisica delle particelle, sviluppando la sua fisica dal nulla o quasi, invece di avere l'umiltà di studiare quello che è venuto prima. E' una cosa straziante e francamente stupida. Se foste rettori di un'università, assumereste un professore così? Inoltre, è uno spreco di talenti. Conosco ad esempio un Reiki Master, ignorante come una rapa dal punto di vista esoterico-energetico ma con un grosso potenziale naturale come terapeuta. Fa dei buoni trattamenti anche se li fa "a caso". Se lui si formasse in maniera seria, il mondo avrebbe un tesoro in più, ed invece no.
Ma questo è il tempo in cui la "libera espressione" ha assunto un valore tale da superare quello della formazione - e del buon senso. Talmente tanto da portare ai paradossi di cui sopra. Come diceva un Gestaltista in una conferenza (e stava parlando di tutt'altro), certi film americani hanno una grossa colpa. Prendete Kung Fu Panda, come esempio. Film gradevolissimo, ma psicologicamente deviante. Questo panda si trova lì per caso, è totalmente inadatto, e con tre settimane di formazione salva il mondo. Pensate anche ai moltissimi film in cui il protagonista, una persona normale priva di istruzione specifica, allenamento ed esperienza, si trova ad affrontare guerrieri (o altro) fortissimi, allenatissimi e preparatissimi, ed "essendo spontaneo", "tirando fuori il meglio di sè" in quella situazione, vince o magari salva il mondo.
Ma siamo scemi? Dio non voglia che uno con quelle cretinate in testa si trovi davanti ad un branco di leoni e cerchi di affrontarli invece che darsela a gambe! Il messaggio "credi in te stesso" va bene, ma non lo si può snaturare e far diventare una baggianata del genere. Che poi la gente ci crede e vengono fuori i disastri di cui sopra.
Se vogliamo andare ancora più a fondo, questi film, così come i fenomeni dei "guru dal nulla" che si affidano a "poteri speciali", evidenziano un archetipo sottostante, quello del "prescelto", che essendo "prescelto" non ha bisogno di studiare e di fare fatica, e neanche di fornire prove della validità di quello che fa o dice, è "nato imparato". Idea pericolosa!
Non posso che terminare tornando con la mente all'astronave dell'arcangelo figon... hihihihi....

Kheer - dolce profumato di riso e latte

Il Kheer è uno squisito, semplicissimo e digeribile dessert della tradizione indiana.
Funziona alla grande come "comfort food", per le serate di pioggia... interiori o letterali.

Ingredienti per 4-6 porzioni:

1 litro di latte intero bio
50 g di riso Basmati (equo e solidale!)*
50 g di zucchero di canna (indicativo - adeguare al proprio gusto)
i semi di 3-4 baccelli di cardamomo, pestati al momento
una noce di burro
un mini-pizzico di sale

Non indispensabili ma caldamente consigliati:
un cucchiaio di pistacchi sbucciati e affettati/tritati
un cucchiaio di mandorle pelate affettate/tritate
più eventualmente un pizzico di entrambi per la decorazione

Facoltativi:
un cucchiaio di uvetta passa
una spruzzata di cannella O un pizzico di zafferano

*Potete sostituire con qualsiasi riso a grana lunga, ma l'aroma del Basmati è distintivo e funzionale alla ricetta. Ho provato a fare il kheer col Basmati integrale invece che bianco e viene altrettanto buono.

Ogni tanto mi cucino una versione "povera" con solo cardamomo e cannella ed è delizioso; la versione più tradizionale vede cardamomo, mandorle, pistacchi e zafferano.

Procedura:

  • Lavate bene il riso in un colino 
  • In un'antiaderente (senza Teflon) fate tostare il riso col burro per 2'
  • Aggiungete il latte, un mini-pizzico di sale e fare scaldare fino a far sobbollire. Mantenete sempre un fuoco moderato così che il latte non fuoriesca bollendo
  • Fate cuocere, mescolando ogni 5 minuti, finchè il riso sarà molto morbido ed il latte ridotto circa della metà. La pellicina che si forma via via, va semplicemente rimescolata col resto, è buona - e parla una schizzinosa. Portatevi un libro o cucinate qualcos'altro nel frattempo, il latte ci metterà un bel po' ad asciugarsi
  • Aggiungete lo zucchero, il cardamomo ed il resto che avete scelto tra le aggiunte possibili, e fate andare altri 5 minuti, mescolando
  • Spegnete il fuoco e lasciate riposare qualche minuto; vedrete che il kheer si addensa ulteriormente
  • Servite caldo, oppure fresco di frigorifero (sarà più sodo)
  • Potete decorare con un pizzico di quello che avete messo come ingredienti (mandorle/pistacchi/cannella/qualche pistillo di zafferano...)



martedì 24 novembre 2009

Chai - Tè dolce al latte e spezie

Il chai (leggi ch come in ciao) è il motore dell'India. Più appropriatamente, Masala Chai.


Milioni di indiani prendono una tazza di chai la mattina per colazione, e qualche altro bicchiere durante l'equivalente delle nostre pause caffè (come in Slumdog Millionaire, ricordate?).
Come per quasi tutte le ricette popolari, esistono centinaia di modi per fare il chai. Troverete online autorevoli ma diverse opinioni su quando si mette cosa nella casseruola!

La miglior pubblicità che si può fare al chai è farne sentire il profumo, cosa che sfortunatamente la tecnologia ancora non offre. Non resta che provarlo!

Per mezzo litro di Masala Chai:

Un quarto di litro d'acqua
Un quarto di litro di latte intero bio
I semi di due baccelli di cardamomo, pestati sul momento
Una spruzzata di cannella
Un chiodo di garofano, spezzato
Mezzo centimetro di zenzero grattugiato
Un pizzico di pepe nero (facoltativo)
Un bel cucchiaio di tè nero (2 bustine), magari un Assam
3-4 cucchiaini colmi di zucchero di canna scuro (tipo panela)

  • Riunite in una casseruola il tutto, escluso il tè, e avviate una fiamma media. 
  • A bollitura, attendete qualche minuto che le spezie diano fuori gli aromi, mescolando continuamente e tenendo il fuoco basso per evitare che il latte formi la pellicina o che fuoriesca. 
  • Aggiungete il tè e spegnete il fuoco (il chai è un tè bollito), mescolando ancora.
  • Quando avete ottenuto un bel color caffelatte, filtrate e servite ben caldo.

Il chai deve essere dolce. Amo prendere i miei tè e tisane senza dolcificarli o quasi, ma il chai proprio chiede una certa dose di zucchero, che serve ad esaltare l'aroma delle spezie.
Qui lo zucchero di canna sostituisce la jaggery, mattonelle di linfa di palma cristallizzata (come si fa con l'acero per lo sciroppo) che gli indiani tradizionalmente usano come lo zucchero - anche se ormai lo zucchero bianco è ahinoi molto diffuso.

Il chai è una bevanda un po' impegnativa per lo stomaco. Lo sconsiglio a chi ha disturbi gastrointestinali. Questa stessa caratteristica lo rende però un fenomenale "ammazza-fame", come ben sanno gli Indiani... ottimo anche per le diete - se lo si considera uno snack!

Molte famiglie indiane tengono in casa un vaso di preparato in polvere per il chai - intendo dire il misto di spezie pestate, non quelle cose liofilizzate orripilanti che vendono negli USA con tanto di zucchero bianco, latte in polvere ed aromi artificiali!
Potete preparare il misto di spezie in polvere - chiedete la ricetta nei commenti e la posterò - ma ho notato che il cardamomo (ed in parte la cannella) è una spezia dall'aroma piuttosto volatile, e dopo poco tempo il misto perde il suo equilibrio, se non lo si usa in fretta.
Si sta meno ad avere mortaio e pestello a portata di mano!

lunedì 23 novembre 2009

Garam Masala - ricetta

Ecco due delle centinaia di ricette esistenti per il garam masala (le "spezie calde"), il cuore di moltisime pietanze indiane - se non lo si vuole comprare pronto ma lo si desidera fare in casa.
Per un'introduzione, vedi questo post - parlo del garam masala verso la fine.

La prima è il mio garama masala preferito, un sapore 'secco' :-)

3 cucchiai di pepe
3 cucchiai di cumino
1 cucchiaio di cardamomo
1 cucchiaio di zenzero essiccato
4 foglie d'alloro
4 foglie di cassia (se le trovate)
1 cucchiaino di sale
1 cucchiaino di noce moscata
1 cucchiaino di chiodi di garofano

Altra versione più 'dolce':

  • 4 cucchiai di semi di coriandolo
  • 1 cucchiaio e mezzo di semi di cumino (cumino orientale, non cumino striato/carvi/kummel!)
  • 1 cucchiaio di pepe nero in grani
  • 1 cucchiaino e mezzo di zenzero essiccato in polvere
  • 4 baccelli di cardamomo 
  • 2-3 chiodi di garofano
  • 5 cm di cannella (o meno a seconda delle preferenze)
  • 2-3 foglie d'alloro
Per entrambe le versioni la procedura è uguale:

In una padella di ghisa o acciaio a fondo spesso, tostate a fuoco molto gentile (=lentamente) tutti gli ingredienti eccetto lo zenzero, fino a fargli assumere un colore un paio di toni più scuro.
Mescolate occasionalmente durante la tostatura, e resistete la tentazione di velocizzare il processo, sennò le spezie si bruciano fuori e restano crude dentro.
A tostatura ultimata, lasciate che le spezie si raffreddino.
Una volta a temperatura ambiente, estraete i semi del cardamomo e buttate i baccelli. Riunite i semi del cardamomo alle altre spezie.
Macinate tutte le spezie insieme in un mortaio, o in un macinacaffè o in un tritatutto adatto (anche lavorando gli ingredienti un po' alla volta se necessario); unite lo zenzero e mescolate bene.
Conservate al buio in un barattolo a tenuta ermetica (come per tutte le spezie) e consumate entro 4 mesi.

© Fotografo: Rohit Seth ; Agenzia: Dreamstime.com

Dal Makhani - deliziose lenticchie in salsa cremosa

Pubblico questa ricetta per prima, in onore di un caro amico che le adora e non vede l'ora di avere la ricetta.

Questa ricetta, originaria del Punjab, è un po' come le lasagne in Italia - è uno dei piatti preferiti in tutta la nazione indiana (ed anche dagli stranieri che mangiano indiano all'estero). Similmente alle lasagne, è un piatto ricco anche dal punto di vista calorico, e richiede un po' di tempo per la preparazione. Un gustoso piatto della domenica!

Questa è una pietanza che potete usare per una cena a cui partecipano persone "nuove" alla cucina indiana, è un gusto che piace a tutti - solo, tenetevi un po' indietro con il piccante poichè i neofiti hanno solitamente uno shock da peperoncino.
Un'altra cosa: qualcuno dei commensali soffre di gastrite/ulcera? Tenetelo lontano da questa delizia. Se la gastrite è leggera, ditegli di andarci piano e di mangiarlo assieme ad altre cose blande come riso e raita.

Esattamente come per tanti piatti popolari, casa che vai ricetta che trovi. Questa è una delle versioni possibili, la migliore che abbia trovato!
E' un leggero adattamento dell'incredibile ricetta del ristorante Bukhara a Nuova Delhi, uno dei più famosi ristoranti in India, che fa del Dal Makhani il suo cavallo di battaglia.
(ricetta originale con video qui)

Ingredienti per 4-5:
(vedere post su misure e conversioni, per le giuste dosi delle spezie.
1 cucchiaino= 5 ml, un bel cucchiaino da tè raso)

250 grammi di lenticchie verdi (l'originale è Urad Dal, lenticchie nere) - peso secco
50 grammi di fagioli - peso secco
(Potete eventualmente fare 300 g di lenticchie ma è poco ortodosso)
40 grammi di burro
150 ml di panna da montare
un cucchiaio di olio di semi
1 cucchiaio di polvere di coriandolo (semi)
1 cucchiaino di semi di cumino
1 cucchiaino di garam masala
1/4 di cucchiaino di curcuma
2 spicchi d'aglio
2 cm di zenzero
Peperoncino: una quantità variabile tra 1/8 di cucchiaino e 3 cucchiaini - dipende da quanto "reggete". Iniziate col minimo ed andate su aggiungendo 1/8 di cucchiaino alla volta, aspettando che ogni "dose" successiva prenda sapore qualche minuto.
Sale a piacere
Un bicchiere di passata di pomodoro - aggiustare a piacere

Facoltativo: un cucchiaino di Kasturi Methi (foglie di fieno greco essiccate)
Facoltativo: un cucchiaio di foglie fresche di coriandolo, tritate
Facoltativo: succo di limone o amchoor (polvere di mango verde)

Preparazione:

  • Cuocete i legumi senza sale fino ad averli ben teneri, che inziano a spaccarsi. Tenete da parte l'acqua di cottura
  • Tritate finemente l'aglio e grattugiate o tritate finemente lo zenzero
  • Scaldate l'olio un una padella capiente a fondo spesso
  • Quando l'olio è caldo, aggiungete il cumino, attendete qualche secondo che i semi scricchiolino, e subito aggiungete aglio e zenzero
  • Fate cuocere un minuto mescolando
  • Aggiungete la curcuma ed il pomodoro e fate cuocere 5 minuti
  • Aggiungete la prima "dose" di peperoncino ed il coriandolo in polvere/pestato
  • Salate, coprite con un coperchio e fate sobbollire per alcuni minuti
  • Aggiungete il burro e un po' dell'acqua dei legumi
  • Quando il bollore riprende, aggiungere i legumi cotti, mescolate bene e coprite
  • Fate cuocere quanto più a lungo potete a fuoco molto basso, almeno mezz'ora. Mescolate ogni 5-10 minuti; ottenete la giusta consistenza facendo evaporare l'acqua o aggiungendone di bollente
  • Aggiungete la panna, il garam masala (ed il fieno greco) e aggiustate di sale
  • Se vi piace, aggiungete un pizzico di amchoor o poco succo di limone
  • Mescolate bene e fate sobbollire altri 5 minuti
Servite con pane naan caldo... o altro pane semplice indiano, o anche riso basmati.

Buon appetito!



Da ricordare quando si cucina indiano

Quando si cucina “esotico” è sempre meglio ricorrere, quanto più possibile, a ricette che prevedono ingredienti di stagione disponibili localmente. Oltre alle moderne questioni ambientali e salutistiche poste dal procurarsi beni deperibili da zone lontane o fuori stagione, sia l’Ayurveda che la tradizione erboristica occidentale ci ricordano tutto quello di cui una popolazione ha bisogno viene offerto dalla Natura nella zona in cui quella popolazione abita, nella stagione in cui ne ha bisogno.
Molte ricette si prestano a sostituzioni ragionate, che danno risultati quasi identici all’originale ma ci permettono di utilizzare prodotti locali. 
Le spezie vanno importate, si sa. È per questo che si sceglie l’equo e solidale, visto che le importazioni arrivano essenzialmente da Paesi in via di sviluppo in cui le garanzie umanitarie sono solitamente assenti.
Un altro buon motivo per cercare di usare il più possibile prodotti locali e biologici da una parte, e spezie bio ed eque e solidali dall’altra, è che in India, come in molti Paesi più arretrati, sono legali molti pesticidi ed altre diavolerie industriali che qui sono vietate. 

Le spezie indiane

Il tratto più caratteristico della cucina indiana è dato dal sapiente e abbondante uso delle spezie, beni esotici che l’Europa importa da molti secoli. La cucina europea “ricca” era molto più speziata nei secoli passati che in quelli recenti. Di molte spezie abbiamo perso conoscenza ed uso, altre spezie non hanno mai fatto parte della nostra tradizione.
Molte spezie ed erbe aromatiche hanno effetti specifici sul nostro corpo. Vi sono ottimi testi introduttivi alla cucina ayurvedica a cui rimando per la trattazione delle proprietà delle spezie (cfr. bibliografia); qui menzionerò solo la distinzione generica tra riscaldante e rinfrescante. Se si è in stato di agitazione, stress, se si ha la febbre o una qualsiasi infiammazione o irritazione, è bene diminuire le spezie riscaldanti; viceversa con le rinfrescanti.
Le spezie andrebbero acquistate intere e pestate in un mortaio appena prima dell’utilizzo. Idealmente, andrebbero consumate entro i sei mesi, e comunque conservate in contenitori a tenuta d’aria ed al buio.
Segue un elenco delle spezie indiane, col nome in hindi tra parentesi, e le loro possibili sostituzioni.

·       Cardamomo (Elaichi). Grazioso piccolo baccello verde pallido contenente semini neri (se non sono neri ma sono chiari e rinsecchiti, quel baccello non è buono). I semini, tolti dal baccello,  andranno pestati appena prima dell’utilizzo. Un profumo unico e delizioso, molto vagamente simile alla zagara. Non omissibile e non sostituibile nelle ricette. Rinfrescante ma, si dice, afrodisiaco.
·       Cumino (Jeera). Simpatici semini marroncini di forma allungata. Forse la spezia di base della cucina medio-orientale ed indiana, dall’aroma pungente e particolare. Non sostituibile e non omissibile. NB: non scambiare con il cumino europeo, quello striato (kummel in tedesco, o carvi, più correttamente, in italiano): sarebbe come sostituire il basilico con la menta, o il sale col bicarbonato! Spezia rinfrescante …ma non troppo.
·       Coriandolo (Dhania, conosciuto anche col nome spagnolo di cilantro): Erba di aspetto simile al prezzemolo, di cui si usano sia i semi che le foglie. I semi, rotondi, beige-nocciola, hanno un dolce aroma simile al limone; le foglie hanno un sapore pungente ed un aroma particolare. Le foglie si usano un po’come noi usiamo il prezzemolo. Sia semi che foglie sono generalmente omissibili nelle ricette. Non c’è un sostituto plausibile, né per semi né per foglie. Spezia rinfrescante.
·       Curcuma (Haldi): Polvere giallo-arancio ricavata da una radice imparentata con lo zenzero. Dà il giallo del curry e spesso è usata per adulterare lo zafferano. Ha un sapore sottile e fiorito, ma in dosi più forti risulta amara. Si può omettere, ma lo sconsiglio, per una questione estetica oltre che salutistica (il suo principio attivo ha svariate virtù riconosciute persino dalla scienza occidentale). Spezia calda, ma dalle spiccate virtù antinfiammatorie.
·       Zenzero: Radice aromatica e piccante, dalle meravigliose virtù riscaldanti. È meglio utilizzare lo zenzero fresco, anche se si può sostituire con quello secco, che però ha virtù ancora più fortemente riscaldanti ed un sapore più piccante e “duro”. Costituisce uno dei pilastri del “soffritto” indiano. Se la ricetta richiede zenzero e non ne avete in casa, meglio cucinare qualcos’altro.
·       Peperoncino (Mirch) Certamente la spezia più usata nella cucina indiana, e ben conosciuta anche da noi. A volte le ricette indiane ricorrono ai peperoncini freschi – rossi o verdi. Se li trovate, è meglio, perché risultato e sapore sono diversi, c’è un aroma fresco ed esotico del peperoncino fresco, che il peperoncino secco non ha. Le quantità delle mie ricette sono la metà esatta dell’originale (salvo che per ricette particolarmente blande) perché quasi nessun europeo, io inclusa, regge le dosi originali per un pasto intero - godendosi il cibo, che è la cosa più importante! Spezia rinfrescante (da evitarsi ovviamente nelle irritazioni o ulcerazioni della bocca e del tratto gastrointestinale).
Di zenzero e peperoncino. Il peperoncino porta il calore fuori dal corpo, lo zenzero lo porta dentro. Consiglio pertanto di aumentare lo zenzero a scapito del peperoncino d’inverno, ed aumentare il peperoncino a scapito dello zenzero d’estate, per le stesse ricette. Lo zenzero è inoltre un fenomenale aiuto nelle malattie da raffreddamento, ad esempio in tisana.
·       Semi di senape (Rai). Minuscole perline dal sottile aroma che si sprigiona in cottura, si trovano nella versione nera o gialla (più forte). Se il colore non è specificato, si intende la varietà nera. Generalmente omissibile ma molto bella da vedere. Riscaldante ma equilibra il fuoco.
·       Cannella (Dalchini). La nota corteccia, che non si usa solo nel dolce, ma anche nel salato. Non abbiate timore nel mettere la cannella dove richiesta, nelle pietanze salate, purchè supportata da un adeguato livello degli altri sapori.
·       Gli aciduli: Amchoor (polvere di mango verde); polvere/succo di melograno; pasta/polpa di tamarindo; succo/polvere di lime; succo di limone. Nell’Ayurveda è importante che tutti i sapori siano presenti in un pasto, incluso l’acido. Per questo motivo, e per ragioni di gusto, molti piatti indiani vengono arricchiti di una nota acidula. Una nota salutistica: visto che, sulla lingua, sale ed acido competono per gli stessi recettori gustativi, si può mangiare con meno sale se si usa qualche goccia di limone. È possibile sostituire ciascuno degli ingredienti più esotici appena elencati con succo di limone, purchè si tratti ingredienti secondari ed in piccole quantità nella ricetta. Nella sostituzione, si perde però il distintivo aroma esotico e fruttato di ciascuno.
·       Sale Nero (Kala Namak) Sale  di rocca, grigiastro e con una nota di zolfo (tipo tuorlo d’uovo sodo). Omissibile, ma dalle spiccate proprietà nutrizionali.
·       Fieno greco (Methi). In apparenza un seme giallino di forma squadrata, è in realtà di un minuscolo legume. Amaro, con una nota di finocchio/liquirizia, è generalmente omissibile, se è un ingrediente secondario. Si può sostituire con una minuscola quantità di semi di finocchio. Ottimo per regolare la glicemia e come tonico.
·       Garam masala, “le spezie riscaldanti”. Si tratta di una miscela di spezie, per l’appunto, riscaldanti, e compare in numerose ricette indiane. Qualsiasi cibo con una spolverata di garam masala “sa di indiano”. Questa miscela si aggiunge di solito a cottura avanzata o ultimata, a contrario delle altre spezie. Le massaie indiane ormai comprano il garam masala in pacchetti già pronti, cosa che si può fare agevolmente e a pochissimo prezzo anche in Italia ordinandolo, ad esempio, su eBay. Volendo però essere fedeli al biologico equo e solidale, ci si può armare di pazienza, acquistare gli ingredienti bio&solidali, e confezionare il proprio garam masala in casa (pubblicherò una ricetta).
·       Assafetida (Hing). Spezia in granuli o polvere, dall’odore molto forte simile al soffritto di aglio. Si trova difficilmente da noi. Si usa in minute quantità e solo cotta per qualche secondo in olio o altro grasso. Sostituibile con l’aglio fritto!
·       Altre spezie comprendono i chiodi di garofano, la noce moscata, i semi di finocchio (Saunf), le “foglie di curry”, la nigella o “semi di cipolla” (Kalonji – sostituibile con qualche fogliolina di origano), il carvi o cumino tedesco, ed il simile Ajwain.

Cucina indiana - cosa si mangia, e come

Ecco una breve carrellata degli "elementi principali" di un pasto indiano.
Per comodità dei lettori italiani, inserisco anche delle note sulle sostituzioni.
Il motivo delle sostituzioni, in particolare nei legumi, non è solo per la comodità di utilizzare quello che abbiamo già nell'armadio - soprattutto nelle zone d'Italia, come la mia, in cui i supermercati indiani/asiatici mancano, ma perchè solitamente, in questi supermercati esotici, si trovano sacchetti di legumi non-biologici. Non è per fare i puristi, ma ricodo che in India, come nelle maggior parte dell'Asia, Africa e Sud America, sono ancora permessi pesticidi che da noi sono vietati da decenni, e credo ci sia una certa libertà nell'usare OGM. Sarà meno aderente all'originale, ma è meglio usare prodotti da coltivazioni sicure!
Se trovate legumi originari indiani coltivati in fairtrade e biologico, non mancate di inserirlo nei commenti e farcelo sapere! Grazie!

Dal. Si può tradurre genericamente con “legumi”, poiché di dal o daal o dhal (le traslitterazioni dall’hindi danno sempre adito a diverse versioni) ci sono numerose varietà, decisamente di più che da noi. Le principali varietà di dal sono le seguenti:
Lenticchie: masoor dal (lenticchia rossa); tuvar dal o tor dal (grossa lenticchia gialla simile ai piselli spezzati), moong dal o mung dal (piccola lenticchia gialla aromatica), molto apprezzato dalla cucina ayurvedica per le sue proprietà depurative. Per tutte queste, nelle ricette, usiamo pure nel nostre lenticchie rosse italiane biologiche. Per l’urad dal, una  lenticchia dalla buccia nera, possiamo utilizzare le nostre lenticchie verdi bio, o dei fagioli neri molto piccoli.
Ceci: chana dal (piccolo cece spezzato); kabuli chana (cece comune); bengal gram (splendido piccolo cece con una proporzione di proteine sui carboidrati talmente alta da renderlo adatto ai diabetici). Per tutti questi, usiamo pure i nostri ceci biologici.
Fagioli: sono più spesso della varietà rossa, nelle ricette chiamati Rajma, ma anche i nostri borlotti di casa funzionano a meraviglia.

Curry. Non è la nota miscela di spezie, ma qualsiasi pietanza cucinata con spezie ed in grado di fare da piatto principale di un pasto. Si può fare un curry di pesce o carne, o di ceci, uova, piselli, melanzane, mango... sempre curry si chiama. I curry di verdure sono anche chiamati subzi o sabji (si pronuncia “sabsi” con s dolce, o “sabgi”, a seconda delle regioni).

Raita. Termine generico per definire una famiglia di salse a base di yogurt, a cui si aggiungono spezie, erbe, a volte dadolate di verdura, come cetrioli e pomodori, o frutta come ananas e papaya. La consistenza può essere decisamente cremosa, o la verdura/frutta può essere preponderante. Lo yogurt ha una funzione rinfrescante e queste salse rappresentano un lenitivo durante i piccanti pasti indiani.

Chuntey (nella fonetica inglese, o chatni nella fonetica internazionale). Termine generico che comprende una varietà di salse di consistenze e sapori diversi. Tipicamente un chutney è una confettura agro-piccante di verdure o frutta, ma si hanno chutney di tutte le consistenze e con tutte le variazioni e combinazioni della gamma del salato, speziato, agro e dolce. Alcune ricette di chutney prevedono l’uso di yogurt o di legumi. Molti chutney vengono confezionati per essere messi in dispensa come noi facciamo le marmellate, mentre altri chutney si preparano appena prima del consumo.

Achar o, nel più comune termine inglese, pickle. Non sono sottolio, non sono sottaceti, ma sono buonissimi! L’achar o pickle è una maniera di conservare frutta o verdura in pezzi con poco olio, aromi ed un mezzo acido come aceto o succo di limone. Pickles tipici sono quelli di mango verde, di carote, di limone o lime, di zenzero, ma si trovano di quasi qualsiasi vegetale, come peperoncino, cavolfiore, uva spina, melone, zucca… persino petali di rosa! Caratteristica del pickle è che non è (praticamente) mai “cotto e mangiato”, ma necessita di un tempo di riposo nei vasetti per insaporirsi. Il pickle non è considerato un lusso, ma un cibo poverissimo. Quando un padre indiano vuole sconsigliare la figlia dallo sposare un uomo con basse prospettive economiche, le dice “stai attenta, con quello lì finisci a mangiare riso e pickle!”. L’achar è tipicamente molto sodo, ben salato, acidulo e molto piccante.

Insalate di verdura fresca con, a volte, aggiunta di frutta; condite spesso solo con una spruzzata di limone.

Roti e Riso: Frumento e riso sono i cereali-base dell’alimentazione indiana. “Roti” si può tradurre con “pane”, ma non ci venga in mente la pagnotta! Si tratta piuttosto di focaccine di farina di frumento, di cui esistono vari tipi, ma che sono comunque cotte appena prima di essere consumate. Il roti più semplice è il chapati, fatto di sola farina ed acqua; il naan è impastato con lievito e yogurt; il puri è fritto; il paratha sembra un po’ alla pasta sfoglia; il besan roti include farina di ceci. Accompagnare il pasto con il roti è tipico del Nord dell’India. Spesso il pane viene spezzato a misura di boccone ed utilizzato per prendere una piccola quantità di curry o altra pietanza senza sporcarsi le mani – visto che, tradizionalmente, in India si mangia con la mano destra, per quanto l’uso delle posate si stia diffondendo sempre più. Il riso è un accompagnamento più caratteristico del Sud, anche se questa distinzione è ormai sfumata. Il riso tipico è il Basmati, dal delicato profumo di sandalo, che si trova sia bianco che integrale.  È affascinante come gli Indiani riescano a formare rapidamente con la sola mano destra una piccola pallina di riso, intingerla nel curry/dal, e mangiarsela!

I derivati del latte. In India si fa un ampio consumo di latticini, soprattutto nella cucina del Nord. È da notare però che ciò che noi intendiamo per formaggio non è utilizzato nella cucina indiana. Il latte è usato tal quale nel tè, nel caffè e nei dolci, in questi ultimi spesso sotto forma di latte condensato. Spesso il latte è utilizzato per produrre in casa un “formaggio” di facilissima preparazione, chiamato paneer, di consistenza simile al tofu e dal gusto delicato. Lo yogurt (dahi) è spesso fatto in casa ed è poco acido; compare in numerosissimi piatti della cucina di tutto il Paese.

Dolci. I dolci del nord dell’India sorprendono per il fatto di essere distintamente delle “bombe” e di basarsi solitamente su latte (spesso latte condensato o paneer), zucchero, farina di ceci (o più raramente di frumento) e qualche spezia dolce. La frutta secca è usata in piccole quantità ed è spesso facoltativa nelle ricette. Quello che noi intendiamo per “torta” proprio non c’è… solitemente si tratta di dolcetti tipo pasticceria secca, fritti, o dolci al cucchiaio. Uno dei dolci più famosi è il gulab jamun, palline di latte condensato e farina, fritte e poi immerse in uno sciroppo di zucchero aromatizzato alla rosa. Un dolce sopraffino simile al nostro gelato è il kulfi, cremoso e laborioso. Nel Sud la pasticceria è essenzialmente secca, con grande uso di farina di riso, cocco, farina di ceci, zucchero grezzo e spezie dolci. Compaiono le banane, mentre latte e derivati cedono il passo. Uno dei dolci più semplici e più diffusi nel Paese è il kheer o budino di riso, di consistenza piuttosto lenta e dal delizioso aroma.

Bevande. L’abbinare le bevande ai cibi non fa parte della cultura indiana. Vi sono però diverse ottime bevande tradizionali indiane. Innanzitutto c’è il masala chai (tè nero alle spezie con latte e zucchero), che mette in moto gli indiani di prima mattina, e che viene consumato nelle diverse pause durante la giornata. La combinazione di tè nero, latte, spezie e zucchero è molto soddisfacente per il palato e piuttosto impegnativa per lo stomaco, con i pro ed i contro che questo comporta. Altra bevanda molto popolare, soprattutto nel Nord e nei mesi caldi grazie alle sue virtù rinfrescanti, è il lassi. Il lassi è una bevanda fatta di yogurt o latticello ed acqua ghiacciata, in diverse versioni. C’è il lassi salato al cumino, e numerose ricette di lassi dolce aromatizzato con cardamomo o altri aromi come zafferano o acqua di rose, zucchero grezzo o miele, mandorle o puree di frutta - il lassi per antonomasia è il lassi di mango. Molto riscaldante è invece il rasam del Sud dell’India, più una minestra forte e ben speziata che una bevanda, disponibile in numerose ricette tra cui il delizioso rasam di ananas. I succhi freschi e le limonate (col lime) sono molto diffusi. Il Sud del Paese ospita ottime coltivazioni di caffè, consumato con il latte. Esistono anche diverse bevande alcoliche regionali, come ad esempio la birra di riso ed il vino di anacardi.

Come si mangia. La tradizione vorrebbe il consumo del pasto seduti a terra su cuscini, anche se ormai gli usi occidentali sono prevalenti. Il cibo viene servito tutto nello stesso momento, senza distinzione di portate, ed ogni commensale si serve come desidera. Per quanto i piatti indiani siano già elaborati e complessi, è tradizione appaiare cose diverse nello stesso boccone, sperimentando le combinazioni che più ci ispirano. Il piatto più tradizionale è il thali, fatto di metallo con piccole conche per le varie pietanze e salse (la conca centrale, più grande, è riservata al riso o pane). Nel Sud si usano ancora le foglie di banano come piatto monouso ecologico, igienico ed economico.

Cucina indiana - breve intro e cenni storici


Ciò che viene chiamato “cucina indiana” è in realtà un complesso insieme di tradizioni culinarie locali. Questo è facilmente immaginabile, se guardiamo alla diversità interna dell’India.
L’India è il settimo Paese più grande del mondo ed il secondo più popoloso - circa un miliardo di abitanti - con due lingue ufficiali (Hindi ed Inglese), quindici lingue principali scritte anche in alfabeti diversi, ed oltre settecento dialetti. Questo Paese, con i suoi cinquemila anni di storia documentata, ha visto la gloria e la fine di vari regni, ed ha subito dominazioni ed influenze diverse su zone diverse. Anche le varie religioni presenti sul suolo indiano, con le prescrizioni alimentari di ciascuna tradizione, hanno contribuito alla diversità alimentare. La maggioranza induista convive oggi più o meno pacificamente con le minoranze religiose, di cui le principali sono quelle musulmana, cristiana e jainista.
Oltre alle circostanze storico-culturali, parte della differenza nella cucina indiana si deve alla diversità degli “ingredienti” che la Natura offre tra le diverse latitudini che il subcontinente indiano attraversa. La cucina del Sud vede un ampio uso prodotti della terra tipicamente tropicali che si trovano molto meno nella cucina del Nord, ad esempio. È per questo che, nell’introdurre la cucina indiana nelle nostre zone, è più facile orientarsi sulla cucina del Nord.


Brevissima storia culturale-culinaria dell'India

La storia documentata del subcontinente indiano inizia nella valle dell’Indo, nel Nord-Ovest della penisola indiana, verso il 2500 a.C.
Le popolazioni indigene, di razza dravidica e con una cultura già avanzata per quel tempo, vengono sottomesse ed in parte spinte a Sud verso il 1500 a.C. dagli invasori Ariani, più chiari di pelle e provenienti probabilmente dall’Asia centrale (gli stessi diffusi in Europa e nel Vicino Oriente, i nostri progenitori). Le tribù ariane, nei successivi 2500 anni, si evolveranno e gradualmente daranno vita ai gloriosi regni ed imperi di quella che è conosciuta come l’età dell’oro indiana (con la parentesi dell’invasione greca sotto Alessandro Magno). È un tempo in cui un formidabile progresso culturale porta alla codifica dei Veda, le Sacre Scritture induiste, di cui fa parte anche l’Ayurveda, il sistema medico tradizionale indiano; si ha inoltre una produzione letteraria e un progresso scientifico di grande livello. Nell’Ayurveda si analizzano gli aspetti energetici della nutrizione, per arrivare alla comprensione di come i diversi cibi e le loro combinazioni influenzano lo stato e lo sviluppo fisico, emotivo, mentale e spirituale dell’Uomo. Con la dominazione ariana e la sottomissione delle popolazioni dravidiche, si forma il sistema di rigida stratificazione e separazione sociale delle caste, che è durato fin quasi ai giorni nostri. Caste diverse hanno prescrizioni alimentari diverse ed abitudini culinarie diverse (fino alla maniera di tagliare la verdura!), a cui gli appartenenti sono in generale molto attaccati.
Verso il 1000 d.C. i Turchi, di religione islamica, invadono l’India del nord, stabilendo un fiorente sultanato; nel frattempo il Sud del Paese si unifica sotto l’impero Vijayanager. I musulmani introducono “l’abbigliamento cucito” (camicie lunghe e pantaloni) agli Indiani, che fino ad allora vestivano esclusivamente con lunghi tessuti non cuciti ma drappeggiati sul corpo, come ordinavano i Veda.
I secoli del 1500-1700 vedono prosperare l’impero Mughal (Mogul). I Mughal, invasori musulmani persiani, saranno ricordati per aver dato all’India una seconda età dell’oro – il famoso Taj Mahal, ad esempio, è stato fatto costruire sotto i Mughal. La tradizione persiana ed indù si fondono per creare uno stile artistico, letterario e culinario unico. Questi conquistatori hanno portato in India il loro gusto per la raffinatezza nei cibi e nei decori, oltre ad introdurre i pani lievitati, i dolci a fine pasto, l’uso della frutta secca, ed alcune preparazioni culinarie. Il tutto è diventato parte del tessuto culturale indiano fino ai giorni nostri.
Col declino dei Mogul, l’India torna ad essere un Paese frammentato. L’Europa ne approfitta stabilendo una fitta rete di commerci ed interessi. Il colonialismo portoghese porta dalle Americhe cibi nuovi che si radicheranno profondamente in India, come nel resto del mondo: patate, pomodori e peperoncino.
Il commercio passa al “protettorato imposto” fino ad arrivare alla dominazione inglese, terminata nel 1947 per una convergenza di diversi fattori, tra cui decisiva fu la lunga rivolta pacifica del Mahatma Gandhi. Sotto gli Inglesi si diffonde l’uso del tè, che prenderà poi strade molto diverse nella cultura indigena ed in quella inglese. L’inglese è rimasto una delle lingue ufficiali dell’India; gli abiti femminili tradizionali indiani hanno risentito dell’influenza vittoriana con l’introduzione di bluse e sottogonne da portare sotto al classico sari, anche se certe aree rurali hanno resistito a queste “novità”.
Musulmani ed Indù non andavano d’accordo da molto tempo. Pochi mesi prima dell’indipendenza dell’India le regioni del Pakistan e del Bangladesh, parte dell’India sino ad allora, sono state dichiarate Paesi indipendenti. Il fiume Indo, che dà il nome all’India ed è stato la culla della prima civiltà di questo Paese, scorre oggi in Pakistan per più di metà del suo corso (una frazione sola attraversa l’estremo nord dell’India, mentre la prima parte del corso è nel Tibet, ahinoi dominio cinese). L’intento della separazione era permettere ai musulmani di avere un “territorio per sé” e terminare gli scontri. Sfortunatamente, come sappiamo dalla cronaca recente, i conflitti religiosi in India si sono ridotti ma non risolti.


L'India ed il Vegetarianismo

L’india è uno dei paradisi dei vegetariani, giacchè ospita una delle più antiche, elaborate e vaste cucine vegetariane.
Il vegetarianismo è ben radicato in India, con una storia antica ma che non si perde nella notte dei tempi. I conquistatori Ariani da principio amavano mangiare carne e praticavano sacrifici animali di cui consumavano i resti. Bisogna aspettare il quinto-quarto secolo a.C. perché una nuova etica e forma di alimentazione prenda piede. La dottrina dell’ahimsa, o non-violenza, viene predicata in quel tempo dal Buddha e da Mahavira, fondatore del jainismo. Anche l’illuminato imperatore Ashoka, convertitosi al buddismo, abbraccia l’ideale dell’ahimsa ed incoraggia il vegetarianismo nella popolazione. A partire dai brahmini (la casta sacerdotale induista) che rendono la dieta vegetariana una prescrizione ed un vanto, la scelta vegetariana si diffonde presto nella popolazione: la maggior parte degli Indiani contemporanei è vegetariana. Sorprendentemente, il vegetarianismo si radicherà più fortemente nel Sud che nel Nord dell’India da cui era partito. La cucina del Tamil Nadu, nella “punta” meridionale dell’India, rappresenta il più ricco tesoro della cucina vegetariana. All’opposto, alcuni gruppi di brahmini del Nord mangiano ancora carne o pesce.